martedì 23 agosto 2011

Vento nordafricano


Tunisia, Egitto, Libia tre paesi che si affacciano sul Mediterraneo il cui orizzonte punta direttamente sulle coste della nostra penisola e lo sanno bene gli abitanti di Lampedusa. Allo stesso modo in cui prende fuoco un bosco in questi giorni di grande caldo così, a gennaio, il nord Africa si è incendiato: il popolo tunisino scendeva in piazza mosso dall’atto di disperazione compiuto da un povero commerciante il quale, vessato dalla polizia, si dava fuoco davanti al palazzo del governo. Cominciava così la “rivolta” di un popolo che per anni aveva assistito all’arricchimento indiscriminato della sua classe dirigente e in particolare di Ben Ali. La caratteristica dei presidenti delle “repubbliche” africane è il loro comportamento, simile a quello di un monarca assoluto piuttosto che a un governatore democratico. I sovrani di Tunisia, Egitto e Libia rimanevano al potere perché protetti da un regime poliziesco e corrotto che assecondava le loro volontà attraverso l’applicazione del terrore. La “democrazia formale” era solamente per compiacere il mondo occidentale il quale chiudeva un occhio su quello che accadeva effettivamente. Questo silenzio assenso derivava dal fatto che il mondo occidentale pensava erroneamente – e i fatti di quest’anno lo dimostrano – che l’alternativa a questi dittatori era il fondamentalismo islamico. Inoltre, condannare il governo di un presidente con cui sei in affari non è certo conveniente!
Una rivolta…non si può, infatti, parlare di rivoluzione poiché la rivoluzione (e faccio riferimento al moto popolare per eccellenza: Francia 1789) era proiettata verso il riconoscimento dei diritti e dei doveri dei cittadini. Nel mondo arabo – spiega Tahar Ben Jelloun nel suo “La rivoluzione dei gelsomini” – ciò che viene riconosciuto è il clan, la tribù, la famiglia, non la singola persona. Qui si tratta invece di una rivolta senza un leader, senza una figura di riferimento, è una grande sollevazione contro l’autoritarismo tout court.
La prima a ribellarsi è stata dunque la Tunisia che con Habib Bourguiba, presidente della repubblica tunisina dal 1957 al 1987, aveva raggiunto un grado di evoluzione che l’aveva promossa a paese più evoluto del mondo arabo: riconoscimento dei diritti alle donne, divieto di poligamia, divorzio autorizzato e aborto legalizzato. Bourguiba era un rivoluzionario, l’unico ad aver sostenuto la laicità dello stato come primo valore, molti lo ricordano perché durante il periodo di ramadan si presentò alla televisione bevendo un bicchiere d’aranciata. Nel 1965 proponeva addirittura a tutti i paesi arabi di regolare i loro rapporti con Israele condannando la politica “del tutto o niente” che aveva portato i palestinesi alla sconfitta. Con la successione di Ben Ali il paese fece un grande passo indietro: il neo presidente aveva fatto credere che l’alternativa alla sua ingombrante presenza sarebbero stati i fondamentalisti! Con questo alibi il presidente tunisino ha fatto il bello e cattivo tempo per diversi anni riducendo il paese in povertà e arricchendo i suoi numerosi amici, anche europei.
Alla caduta di Ben Ali si è scoperto l’incredibile: la ricchezza raccolta da quest’uomo e in particolare dalla moglie, un’avvenente ex parrucchiera, avrebbe sanato il bilancio dello stato tunisino e permesso a milioni di persone una vita più dignitosa. Insisto, tutto questo sotto lo sguardo compiacente della Francia e dei paesi vicini.
Egitto, secondo “grande soffio” di questo vento nordafricano. Dopo Gheddafi, Mubarak è colui che incarna meglio la figura del dittatore nordafricano. Il suo governo durava dal 1981 quando subentrò ad Anwar al-Sadat assassinato durante una parata militare. Anche in questo caso il regime era protetto dalle compiacenze occidentali e questo non stupisce poiché l’importanza strategica dell’Egitto è nota a tutti: la sua vicinanza con Israele ha tolto il sonno a molti leader occidentali i quali temevano che i “Fratelli mussulmani” stessero guidando una rivolta fondamentalista. Anche in questo caso nulla di più falso: i “Fratelli mussulmani” erano e sono una minoranza in Egitto, la loro voce è importante ma non riescono a esprimere una maggioranza parlamentare. Nessuna delle rivolte alla quale abbiamo assistito inneggiava motti di tipo fondamentalista e, ancor più importante, nessun rivoltoso ha mai incendiato una bandiera americana o israeliana. Questo la dice lunga sulla matrice di questo movimento che in lingua araba si chiama Kifaya il cui significato è “ne abbiamo abbastanza”.
Questo grande moto popolare ha successivamente contaminato Libia dove, sono fatti di oggi, il carismatico Ghedaffi è caduto (almeno è quello che si dice) liberando il popolo libico da anni di dittatura. Anche in questo caso la figura fatta dall’occidente è a dir poco meschina, parlo in particolare della Francia e dell’Italia (sia il governo Prodi sia Berlusconi hanno sempre avuto un occhio di riguardo verso il leader librico e le sue amazzoni!) che in perfetto italian style ha rinnegato la parola data non appena le cose sono cambiate… e come sempre si casca in piedi!
(citazioni dal libro di Tahar Ben Jelloun “La rivoluzione del gelsomini”, Milano, Bompiani, 2011).

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