lunedì 8 agosto 2011

La lancia di Nettuno


Notte stellata, ma senza luna. Le pale degli elicotteri rompono il silenzio della notte sorvolando le cime di questo paese arido, duro e pieno di pericoli. Le montagne hanno fatto la storia di questa nazione, l’Afghanistan. Le cime aride e pietrose hanno sempre costituito una protezione e un rifugio per questo popolo che ha combattuto e combatte ancora oggi con un valore e una tenacia incredibile. Gli afghani, contrariamente agli iracheni, sono persone che non si arrendono facilmente. Prima gli inglesi, poi i russi e adesso americani, italiani, inglesi e chissà quanti altri ancora calpesteranno questa terra meravigliosa e terribilmente affascinante le cui città ricordano storie antiche: Kandahar, Kabul e il famoso passo del Khyber. Un popolo che non si piega e che ha dato alla storia contemporanea uno dei più grandi guerriglieri dopo Che Guevara: Ahamd Shah Massoud “il leone del Panshir”. Mi chiedo se questi pensieri abbiano sfiorato per un momento il gruppo di uomini imbarcati su quell’elicottero, 79 ragazzi non comuni che aspettavano da anni quel momento e proprio per quello erano stati addestrati duramente. Gli uomini dei Navy SEAL del Team Six (DEVGRU) che stavano prendendo parte all’operazione “Neptune Spear” (erroneamente riportata come operazione Geronimo), immaginavano che avrebbero incontrato resistenza, ma la sorpresa era un elemento importante e, al momento, nessuno sospettava del loro arrivo. L’operazione si sarebbe svolta su territorio amico, teoricamente, la piccola località di Abbotadad si trovava, infatti, a 50 km dalla capitale del Pakistan (Islamabad). Un paese che riceveva sovvenzioni americane, utili per il sostentamento della propria economia, ma fondamentali per la lotta contro il terrorismo. Nonostante l’appoggio del governo americano la CIA sapeva che il celebre ISI (Inter-Service Intelligence) del generale Musharraf non aveva una linea chiara con i talebani: sicuramente una parte li spalleggiava, passando importanti informazioni direttamente al clan dei Bin Laden. Questa volta, dunque, non era il caso di notificare un’operazione così delicata ad un alleato poco affidabile: se solo fosse trapelato qualcosa, l’uomo più ricercato del mondo sarebbe nuovamente fuggito. Gli uomini “rana” della marina americana temevano che qualche sporco “doppiogioco” – sia dell’ISI sia della CIA…per carità! - avrebbe potuto compromettere l’intera operazione. Troppe volte le truppe speciali statunitensi erano incappate in cattive figure nella conduzione di missioni ad alto rischio, ma questa volta non doveva succedere. Molti uomini avevano perso la vita dopo l’11 settembre, non solo a causa dell’attentato, ma anche grazie a una guerra “scriteriata” condotta dall’allora presidente George W. Bush. I SEAL, malgrado la loro alta preparazione, erano pur sempre semplici soldati e non stava a loro dichiarare guerre: a questo ci pensavano già i politici; loro dovevano solamente eseguire gli ordini e fare al meglio il loro mestiere. Certo, nella testa dei SEAL c’era un elemento morale in più: essi cercavano – vivo o morto - l’uomo che era riuscito a ferire al cuore gli Stati Uniti.
Un boato ruppe definitivamente il silenzio della notte pakistana! In una frazione di secondo la fortuna abbandonava il suo rapporto con la marina americana: un Black Hawk precipitò, senza danni o vittime, a causa di un malfunzionamento al rotore… adesso era solo questione di velocità di esecuzione, prima che l’allarme risuonasse in tutta la zona e in tutto il Pakistan! I SEAL (divisi in due team) scesero dall’elicottero, la loro notte si colorò improvvisamente del verde dei visori notturni che avevano davanti agli occhi. A chilometri di distanza, in America, qualcuno osservava ogni loro mossa: dalla Situation Room della Casa Bianca, il presidente Obama, Illary Clinton e tutto lo staff presidenziale seguiva con ansia l’impresa di questi pochi uomini. A pochi metri dal suolo, un drone registrava tutto quello che stava accadendo e il capo della CIA, Panetta, riferiva – come un navigato radiocronista – ogni mossa dei soldati americani. Tra i 79 coraggiosi che presero parte all’uccisione di Bin Laden c’era anche un cane, un pastore belga chiamato “Cairo” che – anche lui equipaggiato di tutto punto – aveva il compito di sorvegliare e segnalare eventuali fughe o incursioni pakistane all’interno dell’area operativa. In soli 15 minuti (i 15 minuti più lunghi della vita di Barak Obama!) le H&K 416 dei SEAL liquidarono Bin Laden, alcuni membri della sua famiglia e la sua esile scorta. Quindici minuti che hanno significato molto per la storia mondiale, ma che non hanno certo determinato la fine di Al Qaeda o ancor meno cambiato le sorti della guerra. Un’operazione militare che aveva più il sapore di una vendetta (legittima, giusta e condivisibile, bene inteso!) che non un obiettivo militare di grande importanza. Lo dimostra quanto sta succedendo in Afghanistan in questi giorni. La violenza dei talebani non si ferma, la loro logica, il loro ideale non era chiaramente legato alla figura di Bin Laden, non è nemmeno corretto assimilare i talebani ad Al Qaeda, ma questa è una questione che occuperebbe pagine e pagine di questo piccolo blog.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io ho fatto parte del 21° fanteria Cremona di stanza alla caserma Valfrè di Alessandria nell'anno 1974. E' stato uno dei periodi più belli e divertenti della mia gioventù. Vorrei conoscere se in questo blog ci sono altri che hanno fatto il militare nello stesso periodo. Io facevo il centralinista. Grazie