mercoledì 31 agosto 2011

L’ambiguità talebana

In questi giorni sto leggendo e quasi terminando il libro di Massimo Fini sul Mullah Omar, il capo indiscusso dei talebani. Il libro di Fini ha suscitato grande scalpore e scorrendo tra le righe comprendo il perché: l’autore, infatti, cerca di sdoganare il Mullah Omar dall’etichetta di “mostro” spiegando che questa è una definizione ingiusta, diffusa a fini propagandistici dal mondo occidentale e in particolare dagli Stati Uniti. Secondo Fini, che mutua spesso il libro di Rashid sui talebani, spiega che l’arrivo al potere degli “studenti” (questo significa “talebani”) in Afghanistan negli anni Novanta è stato addirittura benefico poiché ha cancellato di fatto le diatribe di clan innescate dai signori della guerra, tra cui il celebre Massud e il famigerato Dostum. La rivoluzione talebana è stata fatta adottando una prospettiva all’indietro e non in avanti, come il termine “rivoluzione” sottintende. Il Mullah Omar, guida spirituale del movimento aveva, infatti, dichiarato di voler governare secondo la rigida interpretazione della sharia , la legge islamica, riportando l’Afghanistan indietro di secoli per vivere come ai tempi del profeta Maometto. E quasi ci era riuscito. Il modello talebano è stato – secondo Massimo Fini – un ottimo antidoto contro la corruzione e persino contro il traffico di oppio; non a caso proprio il Mullah Omar decise, per un periodo, di vietare e bloccare i mercanti di morte. Sul tavolo della discussione c’è poi la preoccupante e ambigua amicizia con Bin Laden: il terrorista saudita è presentato come un amico scomodo, ma forse necessario. Durante la guerra con l’Unione Sovietica, Osama e i soldi della CIA avevano dato un grosso aiuto agli insorti afghani e questo il Mullah non poteva dimenticarlo. Certo, Osama Bin Laden non dava nessuna certezza e con i suoi attentati orditi in tutto il mondo avrebbe sicuramente attirato sull’Afghanistan un’attenzione che Omar non voleva. Dopo l’11 settembre il presidente Bush chiese la testa del terrorista più ricercato al mondo, sapeva che il suo rifugio si trovava a Tora Bora, uno dei luoghi più remoti dell’Afghanistan. Sul Mullah Omar ricadeva quindi una dura responsabilità: cosa fare? Consegnare Bin Laden agli odiati americani simbolo negativo di una civiltà corrotta? La risposta è ben evidente…Omar non consegnò Bin Laden accettando così le conseguenze di un’ennesima invasione straniera. Quello che accadde nei primi mesi di guerra è noto a tutti, forse però non sono note le modalità con le quali gli americani affrontarono i primi mesi di un conflitto difficile e pericoloso. L’arroganza con la quale Bush e la sua cricca trattarono il popolo afghano ebbe il demerito di aumentare il consenso a favore dei talebani. Se prima c’era qualcuno disposto a sbarazzarsi di questi integralisti, dopo l’invasione statunitense cambiò idea. L’avventura afghana fu per gli Stati Uniti un passaggio obbligato per la successiva invasione dell’Iraq. Lo si capì da come affrontarono la prima fase della guerra: nessun piano concreto, nessun impegno sostanzioso, ma soprattutto nessuna strategia per ottenere il favore della popolazione nella guerra contro i talebani. Bombardare! Questa era la risposta che Donald Rumsfeld dava al Pentagono. I bombardamenti causarono la sconfitta dei talebani, verissimo, nondimeno le vere vittime furono per lo più civili, senza contare l’enorme consenso che raccolse il Mullah Omar il quale – costantemente in fuga - continuava a dirigere le operazioni. Nella mente di Omar permaneva certo un sentimento di sconfitta e frustrazione, tuttavia l’atteggiamento e la strategia alleata giocarono nettamente a suo favore. Ad attirare simpatie verso Omar ci fu anche la mossa americana di imporre al governo un personaggio come Hamid Karzai, simbolo della connivenza con gli occidentali e dell’uso smodato dei loro vizi, primo fra tutti la corruzione.
Tra le varie cose che attirano l’odio verso i talebani c’è la condizione in cui vivono le donne afghane. Già prima della guerra i movimenti femministi di tutto il mondo sollevarono la questione “burka” accusando i “barbuti religiosi” di violenza e crudeltà nei confronti delle donne. Riusciamo noi occidentali a entrare effettivamente nel merito del rapporto donne/Islam? Io, sinceramente, non oso addentrarmi più di tanto: capisco solo che le violenze commesse a scapito delle donne non sono solo una prerogativa islamica, anzi diciamo chiaramente che la violenza tout court non significa Islam, anzi è condannata dall’Islam. Il Corano, come la Bibbia, è oggetto di libera interpretazione secondo usi e costumi delle persone: in nessun passo Maometto inneggia alla guerra contro gl’infedeli…la Jihad significa un mare di cose, certo non guerra contro il mondo intero. Il Corano non dice di gettare acido in faccia alle donne… l’adulterio è punito dalla Bibbia come dal Corano con la stessa violenza.
Lanciarsi in facili giudizi è comunque molto semplice, quanto sia giusta la guerra contro l’Afghanistan non sta a me dirlo, posso solo dire che da quando la presidenza Obama e il generale Petraeus hanno preso seriamente in mano le cose, tutto è leggermente (impercettibilmente) migliorato. Non si applica più la tattica dell’anti terrorismo, ma della contro insorgenza… questo è stato un passo fondamentale. Quali sono le differenze??? Rimando ad altro post la spiegazione…

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