giovedì 26 giugno 2008

New York Yiddish


Camminando per le strade di New York incontriamo frequentemente uomini barbuti, vestiti con un cappotto nero, camicia bianca, un cappello in testa e degli strani ricciolini che scendono sul viso, all'altezza delle tempie. Quello strano signore è un chassid dei Lubavitch, un ebreo ortodosso che nella Grande Mela ha trovato la sua nuova patria. Il libro di Maurizio Molinari, "Gli ebrei di New York" è illuminante per una serie di motivi, primo fra tutti comprendere quale sia il legame tra il popolo di Abramo e gli Stati Uniti. Attraverso un esame "quartiere per quartiere" della grande città americana, l'autore racconta storie, aneddoti, personaggi straordinari, gente comune, luoghi, cultura e tradizoni dell'ebraismo newyorkese. Tra gli anni '20 e '30 del Novecento l'Europa diventò la culla di nuovi totalitarismi - il nazismo, il fascismo e lo stalinismo - che avevano in comune una subdola, poi manifesta, volontà di sterminare il popolo ebraico. Quali fossero le motivazioni di questo accanimento è ormai chiaro; per il nazismo, ad esempio, vi era la ricerca di un colpevole sul quale far ricadere le varie disgrazie che stavano affliggendo la Germania di Weimar, il voler trovare ad ogni costro un capro espiatorio propagandando il famoso "complotto ebraico" che stava prosciugando le forze economiche del grande Reich e che avrebbe messo alle porte di Berlino un'orda bolscevica. Allora ecco le leggi razziali, le stelle di David sui cappotti di uomini e donne di tutte le età, una serie di divieti che resero impossibile la vita degli ebrei tedeschi, austriaci, ungheresi, cechi, slovacchi, polacchi, ecc., e i tragici campi di internamento e sterminio. La macabra ombra di questo movimento "del terrore" si allungò su buona parte del Vecchio Continente: le leggi antisemite furono subito adottate anche dai paesi confinati, prima fra tutte l'Italia di Mussolini, poi complice della persecuzione in grande stile adottata dopo il 1943. Tutto questo diede inizio a una nuova diaspora degli ebrei, una fuga disperata verso la salvezza, verso territori dove nessun uomo sarebbe stato obbligato a portare una stella gialla sul proprio abito. Molti di loro approdarono a New York, cominciando una nuova vita fatta di difficoltà, di stenti, di nostalgie eppure molto più libera e soprattutto senza discriminazioni. Maurizio Molinari ci racconta questa avventura attraverso gli occhi di ebrei famosi, come Elie Wiesel, ma anche di perfetti sconosciuti che, grazie all'America delle grandi opportunità, hanno avuto modo di passare dalla vendita di stracci sui carretti alle sale di Wall Street.

martedì 17 giugno 2008

Piazza d'armi o Piazza de Ferrari?


Adoro le città, adoro le grandi città…mi piace passeggiare tra le gente, guardare le vetrine, ascoltare il rumore del traffico, udire il vociare di mille persone che scambiano ogni genere di opinione, dalla più colta a quella più banale. La città è una giungla fatta di cemento e asfalto, tinteggiata da ogni tonalità di grigio interrotto, di tanto in tanto, dal verde degli alberi e dei giardinetti dove bambini urlanti si passano il pallone o sfrecciano con le loro mini biciclette. Questa è la città: lunghe code alle fermate del bus con persone che imprecano per i constanti ritardi, qualcuno si guarda intorno stando attento ai borseggiatori dalle mani leggere come ali di farfalla, ogni tanto qualche sirena di ambulanza o della polizia urla nell’aria assordando i passanti. Vetrine piene di colori e oggetti di tutti i tipi, di tutte le marche, per tutti i gusti e tutte le tasche. Città dove per strada incontri di tutto: il clochard che dorme ai piedi di qualche gioielleria, il senegalese che tenta di venderti un po’ della sua patria, il sudamericano, l’inglese, il tedesco, il cingalese, ecc. L’unica cosa che farebbe strabuzzare gli occhi dei cittadini sarebbe quella di sentire in lontananza uno sferragliare fastidioso, un rumore di cingoli…un carro armato. Cosa???…direte voi… un carro armato in città, che diavolo di stupidaggini stai dicendo… un carro armato, magari con la fanteria al seguito. Non ho bevuto un whisky di troppo e quello che ho fumato recava sul pacchetto il talloncino dei monopoli di Stato… lo stesso Stato che sta per mandare nella mia amata città i soldati. Premetto non ho nulla contro l’Esercito, sono uno storico militare ed è proprio perché conosco il mondo in grigio verde che esco fuori tema del mio blog per affrontare un argomento alquanto delicato. Il tanto promesso “pacchetto sicurezza” che sta per essere approvato dal governo Berlusconi, prevede l’ausilio dell’esercito per mantenere l’ordine pubblico nelle città. Se mi guardo intorno vedo già uniformi della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Municipale e, ogni tanto, la Polizia Penitenziaria alla quale, naturalmente, sono state estese le prerogative di polizia giudiziaria, in altre parole ti possono arrestare. Ecco, a tutto questo sfavillare di galloni e distintivi di reparto aggiungiamo il cappello piumato dei bersaglieri, le penne d’aquila degli alpini e il basco amarato dei parà e poi ci ritroveremo a vivere in una mega caserma dove i civili diventano dei “sorvegliati” nel bene e nel male. Ripeto, non ho nulla contro i militari, chi mi conosce lo sa bene, tuttavia l’idea di impegnare i soldati nel mantenimento dell’ordine pubblico mi sembra realmente una delle tante idiozie di questo governo. Fare intervenire le forze armate indica sostanzialmente: 1. L’incapacità della classe politica a gestire qualsiasi situazione d’emergenza; 2. Una palese dichiarazione di debolezza nei confronti della malavita organizzata che ormai, da tempi remoti, spadroneggia in tutto il sud Italia con la connivenza di chi oggi gli vuole mandare i bersaglieri; 3. L’inefficienza della macchina chiamata “GIUSTIZIA” la quale, al posto di mandare i Mangusta, andrebbe foraggiata di personale competente e “libero” da catene politiche. Accidenti il piccolo scippatore diventerà oggetto di mira di un potente Beretta SA 70/90? E chi decide di sparare? Quali sono le regole d’ingaggio per i soldati stanziati nelle città? Chi decide cosa è giusto e sbagliato? E la Polizia cosa deve fare? Mi sembra di vedere uno di quei film hollywoodiani dove Bruce Willis assedia New York con l’esercito… ma per gli americani è fantascienza… qui sta per diventare realtà.

sabato 14 giugno 2008

Il piacere della lettura


Si tratta di un libro che popola gli scaffali delle libreria già da un pò di tempo, tuttavia merita sicuramente due parole. Il libro di Nick Hornby, "Una vita da lettore" è un libro sui libri e su chi, per mestiere, li recensisce fecendoli diventare il suo pane quotidiano. Il libro di Hornby svela, in modo eclettico, il vero significato della recensione, ma soprattutto parla di chi, come me e come molti altri, acquista libri in continuazione anche se, in qualche caso, non sa neppure se un domani li leggerà. Molte volte mi è capitato di entrare da Feltrinelli, un vero paradiso, dove il mio sguardo si perde sui coloratissimi scaffali tinteggiati dalle varie copertine multicolore: il momento della scelta non è mai facile. Cosa leggo? Che cosa cerco? Cosa voglio dal prossimo libro? Guarda che bella copertina, ma le sue tinte sgargianti e il soggetto riportato in copertina rispecchierà anche il contenuto? Allora ti affanni a leggere gli strilli, i riassunti riportati in quarta di copertina, insomma ti metti alla ricerca disperata di quell'indizio mancante che farà del volume che stringi tra le mani, il tuo prossimo libro! Una volta acquistato comincia la vera avventura: a me spesso capita di salire sull'autobus, riuscire a sedermi - per grazia ricevuta da chissà quale divinità del mezzo pubblico - e cominciare a sfogliare avidamente le prime pagine al fine di ottenere ulteriori conferme che avvalorino il mio acquisto. La prefazione di un volume è sicuramente molto importante e il più delle volte viene scritta da qualche autore illustre; da quelle prime righe, fugacemente indagate tra i sobbalzi del bus e gli urti delle persone, inizi a capire qualcosa di più e se anche quell'alto gradino "introduttivo" riesce ad essere oltrepassato...beh... allora è fatta...hai trovato il tuo libro! Niente di più falso... le introduzioni, appunto perchè scritte da personaggi illustri, sono brevi, danno indizi validi, ma nella maggior parte dei casi non esprimono la vera forza narrativa dello scrittore che stai per leggere. Introduzione ingannevole? Introduzione mendace? Sarebbe interessante scrivere un libro sulle introduzioni...e il loro valore. Sono uno storico e per quanto concerne i saggi, il cappello introduttivo ha spesso il potere di accreditare un detreminato percorso di ricerca. Per la narrativa il discorso è diverso... la migliore introduzione al libro che stai per leggere sei tu, il tuo umore, il tuo spirito, la tua volontà di rintracciare determinate emozioni sulle pagine che ti scorreranno davanti agli occhi. Tutto qui... Ovviamente si può dissentire...

venerdì 6 giugno 2008

6 giugno 1944



Una giornata grigia, le nuvole basse quasi a sfiorare il mare, investito dalla forte brezza dell'oceano, nel 1994 passeggiavo sulle spiagge della Normandia in compagnia del mio compagno di viaggio. Le scarpe sprofondavano nella sabbia umida, lambita dall'acqua, un buon sigaro in bocca e la mente proiettata all'indietro, fino a quell'alba del 6 giugno quando migliaia di uomini avrebbero messo in atto un'impresa che nessuno avrebbe mai dimenticato. Americani, inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, francesi, indiani, e forse dimentico qualcuno... mesi e mesi ad aspettare quel giorno sulle coste dell'Inghilterra meridionale ammazzando il tempo in mille modi, con il pensiero rivolto a casa. Poi finalmente l'ora X, il D-Day. Imbarcati su migliaia di navi, stipati come sardine: chi dormiva, chi scriveva le ultime lettere alla moglie o fidanzata, alcuni giocavano a carte e i più deboli di stomaco vomitavano sporgendosi dai parapetti delle navi. Dall'altra parte...l'esercito tedesco...in eterna attesa che qualcosa accadesse. Il tempo era pessimo e sapevano che nessun comandante avrebbe osato affrontare la Manica con quelle condizioni meteo... eppure...uno squarcio nelle nubi, uno sprazzo di luna convinsero Ike a dare il via. Omaha, Utah, Gold, Juno, Sword, cinque nomi che sarebbero rimasti impressi nella mente dei reduci fino alla loro dipartita. La notte tra il 5 e il 6 giugno il cielo normanno si riempiva di migliaia di ombrelli bianchi: i paracadutisti della 101a e 82a divisione americana, i Red Devils britannici e gli alianti furono i primi a saggiare, dolorosamente, la potenza di fuoco delle armi tedesche. Eppure...nessuno all'alto comando tedesco ci voleva credere...stavano arrivando! Neppure la "Volpe del Deserto", il grande Erwin Rommel aveva preso in considerazione uno sbarco alleato sulle coste normanne. All'alba del 6 giugno...i posti di guardia sul Vallo Atlantico intravidero all'orizzonte una sottile linea nera...non era un effetto ottico... era la più grande flotta mai messa in piedi dai tempi dell'Invincibile Armada, che stava per toccare terra e liberare l'Europa dal giogo nazifascista. Nel giro di poche ore per molti sarebbe cominciata la macabra danza della guerra, per i più sfortunati sarebbe durata un solo istante: la pedana dei mezzi da sbarco, man mano che si avvicinavano alla costa, somigliava sempre più all'antro dell'inferno. Una volta aperta tutti avrebbero perso, per un istante, il controllo sul proprio destino. Lo spazio che separava l'acqua dalla sabbia era infinito...molti affogarono, altri morirono a causa dei proiettili nemici. Uno dei libri più belli che ho mai letto sullo sbarco è quello di Max Hastings "Overlord". Racconta i giorni prima dello sbarco, le ansie del comando alleato, l'irresponsabilità di quello germanico, le storie dei soldati alleati e tedeschi accomunati da un triste destino, quello di fare la guerra. Oggi molti paesi vivono ancora con quel ricordo, ma soprattutto con l'enorme debito nei confronti dell'America: il tributo di sangue di questi giovanotti provenienti dalla California, dal Texas, dal Montana ecc. è stato davvero grande. In quel viaggio ho avuto una grandissima fortuna, conoscerne uno. A Saint-Mere-Eglise un signore molto anziano e corpulento, con grande gentilezza, si è avvicinato toccandomi la spalla e, con gli occhi ancora vivi di ricordi, comiciò a raccontare di quando tocco terra col suo paracadute...a quel punto le pagine dei libri che avevo letto sino a quel momento diventarono bianche...ecco - mi son detto - questo è il libro che vorrei non finisse mai. Lui c'era.