lunedì 30 gennaio 2012

Guerrieri a contratto


Capita spesso di vedere in televisione dei servizi sulla guerra in Afghanistan o in Iraq dove, attorno a generali, tecnici o uomini politici, sono schierati uomini armati fino ai denti che sorvegliano con attenzione tutto ciò che li circonda. Non portano alcuna divisa o distintivo particolare: una polo sopra la quale indossano la combat vest, un cappellino da baseball, pantaloni tattici, anfibi e una lunga serie di armi e caricatori. Questi signori non sono soldati, ma appartengono alle PMC (Private Military Company) ovvero un nuovo fenomeno che popola l’ampio panorama di combattenti della guerra contemporanea. Molti di voi ricorderanno gli avvenimenti che portarono alla morte il genovese Fabrizio Quattrocchi, ricordato per il suo celebre motto “guardate come muore un italiano”. Béh, lui è morto quando era un contractor e non un mercenario come venne definito, al tempo, da molta stampa di sinistra. Ma quali sono le differenze tra un contractor e un mercenario? L’articolo 47 del protocollo 1 della Convenzione di Ginevra definisce il mercenario come una persona che: è reclutata nel Paese in conflitto e all’estero individualmente con l’obiettivo di combattere e prendere parte direttamente al conflitto armato e alle ostilità; e protagonista diretto delle ostilità; è motivato a partecipare direttamente alle azioni del conflitto soprattutto per il desiderio di guadagno personale, compenso materiale eccessivo se paragonato a quello delle forze armate regolari della nazione combattente. Il mercenario, inoltre, non ha nessuna connessione con gli Stati in conflitto. E allora? La differenza corre sul filo del rasoio, soprattutto dal punto di vista etico e professionale. In primo luogo il contractor è assunto per lunghi periodi e non necessariamente durante le guerre, spesso non prende neppure parte al conflitto, i contractor, malgrado i compensi molto elevati, fanno gli interessi di una compagnia privata e non i personali. In alcuni casi, ma sono per alcune compagnie, possono essere inquadrati e affiancati alle forze regolari. Questo è quanto recita la convenzione di Ginevra, ma poi sul campo le cose vanno diversamente. L’argomento mi è stato suggerito dalla recente lettura di un libro molto interessante scritto dal pugliese Gianpiero Spinelli, contractor e amico di Fabrizio Quattrocchi in Iraq. Spinelli racconta di un mondo fatto da professionisti ex combattenti delle unità di elite che scelgono di “arruolarsi”, previo contratto, in una delle tante PMC che si trovano ad operare sul suolo iracheno. Il giovane ex paracadutista della Folgore, insieme ad altri suoi compagni italiani, capitò in una delle migliori PMC: la “Compagnia delle Indie” la quale operava per conto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Gli italiani che fanno questo mestiere non sono molti anche perché, dopo la vicenda di Quattrocchi, si è scatenata una feroce propaganda contro questi professionisti ingiustamente definiti “mercenari senza onore”. Spinelli stesso è stato al centro di indagini e investigazioni da parte della procura e del SISMI, il servizio segreto militare italiano. La maggior parte di queste compagnie è di nazionalità americana, la più famosa è la “Black Water”, e lavorano soprattutto con ex Berretti verdi, ex Marine Recon o ex Delta. Al servizio di queste compagnie si univano poi inglesi (molto pochi, hanno le loro e operano in modo completamente diverso) francesi (ex legionari), angolani, ma soprattutto sudafricani, considerati i migliori combattenti disponibili sul mercato. Tralasciando gli avvenimenti in Iraq, Gianpiero Spinelli descrive l’ambiente dei contractor in modo pessimo, anche lui, a volte, sembra credere che in fin dei conti si tratta solo di mercenari, dotati di avidità e poco spirito di corpo. È evidente che in Spinelli sopravvivono forti e saldi i valori dell’amicizia e della Folgore, insegnamenti che riguardano più un esercito regolare e non prezzolato. Questo distinguerà Spinelli e i suoi compagni dall’orda di americani i quali, come d’abitudine, avevano la pretesa di sentirsi sempre i migliori. Forse Gianpiero, al suo debutto nella Compagnia delle Indie, doveva e voleva dimostrare qualcosa ai suoi colleghi americani, desiderava sgretolare il mito dell’italiano imbelle o – come ricordava lui – del “mandolino del Capitano Corelli” (film stupido nel quale gli italiani sono dipinti come buffi canzonieri). La sua impresa riesce, Spinelli e i suoi compagni di lavoro italiani dimostrarono presto di avere la stoffa per combattere al fianco di ex marines ed ex berretti verdi, anzi svelano di avere sicuramente qualcosa in più: i valori. Il pugliese, malgrado le sue esperienze, conservava, dunque, uno spirito da vero soldato il quale aveva l’abitudine di non lasciare nessuno indietro… NO MAN BEHIND. La protezione e la sicurezza dei suoi uomini, dei suoi compagni sono una ragione di vita! Questo lo metterà in completo disaccordo con il personale statunitense il quale si era dimostrato, in diverse occasioni di conflitto a fuoco, avido e codardo. Spinelli stesso annota alcuni fatti d’arme con grande amarezza, lui stesso si domanda se agire in certi modi non sia da mercenari: egli ammette che lo stesso direttore della Compagnia delle Indie aveva smarrito da tempo il suo status di berretto verde per trasformarsi in un avido e spietato imprenditore della guerra. Ecco la differenza tra contractor e soldati che ogni giorno indossano una divisa e combattono per una bandiera. Non sembra plausibile che anche gli stessi contractor prima di dismettere l’uniforme e firmare l’accordo siano stati soldati… e che soldati! Forse è solo il modo di fare degli americani, un po’ sbruffoni e arroganti.
Il denaro e il grande guadagno può effettivamente oscurare il principio sacro di soldato, ma Spinelli lo mantiene e questo fa di lui un combattente italiano, un paracadutista della Folgore e non un mercenario. (si legga: Gianpiero Spinelli, Contractor, Mursia, 2009).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Letto...molto bello....consigliato