domenica 24 luglio 2011

In pace e in guerra


Cominciamo questa nuova stagione con la recensione di un libro che ho avuto modo di leggere in questi giorni: “In pace e in guerra” di Enrico Mannucci. Sinceramente mi aspettavo di più, tutte cose abbastanza note e presenti nelle varie riviste specializzate del settore, tuttavia, per chi vuole sapere tutto e subito questo è un ottimo libro. L’autore analizza i principali reparti speciali del nostro esercito: dal GOI al Col Moschin fino al Tuscania. Ne spiega addestramento, armamento e impiego nei nuovi scenari di guerra. Proprio il nuovo tipo di guerra, definita dagli specialisti LIC (Low Intensity Conflict – Conflitti a bassa intensità) ha spinto il nostro governo (con il patrocinio dell’allora presidente Cossiga) a rafforzare i reparti speciali. Dal conflitto in Yugoslavia fino all’Afghanistan le nostre forze speciali si sono distinte non solo per la loro attitudine aggressiva, ma soprattutto per aver raggiunto un giusto equilibrio tra la loro componente d’attacco e quella di mediazione rispecchiando così la peculiarità italiana che tende sempre a trovare un accomodamento tra le parti. Aggiungo che molto spesso il compito delle forze speciale è quello di evitare lo scontro raggiungendo lo stesso l’obbiettivo.
Il valore di questi “pochi” è indubbio, basta scorrere le fasi di preparazione che formano un incursore della Marina o del Col Moschin per capire che non è facile sopravvivere a quei ritmi e a quello stress. Tuttavia non dobbiamo pensare a questi ragazzi come a dei superman: sono uomini con pregi e difetti, ma soprattutto con i loro limiti. Quello che li contraddistingue dalla maggior parte delle altre persone è, a mio parere, la forza di volontà e la costanza nelle cose che fanno. La voglia di riuscire che vince anche sui momenti di difficoltà che normalmente si presentano nel corso della vita o di un iter addestrativo. Troppo spesso una certa opinione pubblica vede le nostre Forze Speciali come l’incarnazione di un qualcosa di negativo, espressione di un governo che vuole difendere i propri interessi economici senza aver cura del valore umano. Bene inteso è mia opinione personale che tra le ultime guerre combattute forse solo una ha, in effetti, un valore deterrente nei confronti del terrorismo: l’Afghanistan. Per quanto riguarda l’Iraq lo trovo uno dei più grandi fiaschi militari dopo la guerra nel Vietnam per non parlare poi del conflitto libico per il quale stento a trovare un valido motivo che spinga a mandare aerei a bombardare chissà cosa! Ma questa è politica e i militari, volenti o nolenti, sono solo delle pedine. Quello che continua a stupirmi però è l’indignazione che l’opinione pubblica prova ogni volta che un soldato muore…. Ma signori miei, sono secoli e secoli che I SOLDATI MUOIONO IN GUERRA, la guerra (anche se mascherata da missione di pace) genera morti e per quanto sia il rispetto che ad essi dobbiamo smettiamola di meravigliarci quando qualche povero ragazzo della Folgore o degli alpini cade vittima a causa di qualche IED. Comunque, bando alle disquisizioni politiche, lasciando spazio solo al valore indiscutibile di questi uomini che hanno fatto una scelta coscienti, di sicuro, che in guerra…bé si può anche morire.

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